Non ho mai pensato che con la cucina si possa fare arte, come vuole qualcuno.
Semmai che si possa far mangiare la gente a casa propria o al ristorante, cercando di farlo bene.
L'arte va lasciata agli artisti, se poi uno chef ha dei punti di contatto con l'arte (perchè ama l'arte o perché vi si dedica lui stesso con altri mezzi di espressione) non fa altro che dare valore aggiunto al suo lavoro: curerà al meglio la presentazione dei suoi piatti, farà ricerca di accostamenti di sapori e di effetti cromatici, sperimenterà nuove commistione con quelle sensazioni palatali e olfattive che possono scatenare (oppure no, se la sperimentazione non è sostenuta da talento e intuizione) quel “cortocircuito” di sensazioni che fanno di un cuoco un grande chef.
Ovvio che questo successo non avrà un valore assoluto, esattamente come nell’arte.
Un buon piatto è tale per la sensibilità di chi lo assaggia, certo, esistono dei parametri generalmente condivisi, ma non dogmi inconfutabili.
La zia Concetta è liberissima di non apprezzare una gelatina all’azoto, come il mio amico Michele potrà tranquillamente mandarmi a cagare dopo che gli ho fatto assaggiare un cappuccino di seppia e polvere di caffé.Nello stesso modo in cui la zia e il mio amico possono non apprezzare una mucca squartata ed imbalsamata di Damien Hirst .
L'arte va lasciata agli artisti, se poi uno chef ha dei punti di contatto con l'arte (perchè ama l'arte o perché vi si dedica lui stesso con altri mezzi di espressione) non fa altro che dare valore aggiunto al suo lavoro: curerà al meglio la presentazione dei suoi piatti, farà ricerca di accostamenti di sapori e di effetti cromatici, sperimenterà nuove commistione con quelle sensazioni palatali e olfattive che possono scatenare (oppure no, se la sperimentazione non è sostenuta da talento e intuizione) quel “cortocircuito” di sensazioni che fanno di un cuoco un grande chef.
Ovvio che questo successo non avrà un valore assoluto, esattamente come nell’arte.
Un buon piatto è tale per la sensibilità di chi lo assaggia, certo, esistono dei parametri generalmente condivisi, ma non dogmi inconfutabili.
La zia Concetta è liberissima di non apprezzare una gelatina all’azoto, come il mio amico Michele potrà tranquillamente mandarmi a cagare dopo che gli ho fatto assaggiare un cappuccino di seppia e polvere di caffé.Nello stesso modo in cui la zia e il mio amico possono non apprezzare una mucca squartata ed imbalsamata di Damien Hirst .
Ecco, forse in questo la cucina assomiglia all’arte: siamo liberi di non apprezzare, ma la nostra non-condivisione certo non impedirà a Damien Hirst o Ferran Adrià di esercitare il proprio diritto/dovere di sperimentare e provocare: l’utilità o meno dei loro sforzi sarà dimostrata soltanto con il tempo, una volta smorzati i clamori modaioli di biennali e bibbie gastronomiche.
Ma sto divagando, torniamo alla cucina dei comuni mortali e lasciamo l’empireo delle tre stelle Michelin per un attimo.
Dicevo, la figura dello chef è e deve rimanere quella del professionista qualificato, coscienzioso, leader nella sua cucina, maestro per i suoi secondi e commis di cucina, responsabile per sé e per i membri della squadra o "brigata", per usare un termine caro ai francesi che ancor più rimarca il rigore delle gerarchie e dell'assetto da battaglia in cucina.
Una figura di riferimento per igiene, cultura gastronomica, manualità, velocità di esecuzione, in grado di risolvere via via innumerevoli problemi del "servizio", capace di prendere decisioni importanti in tempi brevissimi, proprio come un generale sul campo (eh già....non muore nessuno, ma provate ad immaginare 200 nemici seduti dall'altra parte della trincea e quanto incida un solo minuto in più di cottura data a 200 spaghetti!!)
Un capo carismatico e creativo insomma, che modifica (e insegna a farlo) degli alimenti per dar vita ad altri alimenti, usa attrezzi del mestiere ed ingredienti per creare qualcosa che, diversamente dall'opera d'arte, sarà assaggiata, degustata, assimilata e digerita; non certo guardata, contemplata o fotografata.
Unico responsabile della buona riuscita di un convivio, tutto qui.
Poco di artistico insomma ma sudore sulla fronte e tanto spirito di abnegazione e sacrificio per un mestiere antico che regala soddisfazioni e frustrazioni nella stessa misura.
Lo chef può essere un buon artigiano quando l'ingrediente fondamentale della sua cucina è la passione. Può trattarsi di altissimo artigianato quando l' ingrediente segreto è un pizzico di anima.
Il resto è gusto individuale dell’ utente-fruitore, soggettività, salato o dolce, saporito o meno, bravo e complimenti o ...a me non piace.
Il resto è sale e pepe q.b.
Poco di artistico insomma ma sudore sulla fronte e tanto spirito di abnegazione e sacrificio per un mestiere antico che regala soddisfazioni e frustrazioni nella stessa misura.
Lo chef può essere un buon artigiano quando l'ingrediente fondamentale della sua cucina è la passione. Può trattarsi di altissimo artigianato quando l' ingrediente segreto è un pizzico di anima.
Il resto è gusto individuale dell’ utente-fruitore, soggettività, salato o dolce, saporito o meno, bravo e complimenti o ...a me non piace.
Il resto è sale e pepe q.b.
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